Lezioni di Giapponese

166) Uchi e soto

2024年02月20日

おはようみなさん!

Oggi vediamo due concetti fondamentali nella cultura giapponese, l’uchi e il soto.

Finora abbiamo detto che il sonkeigo si usa per parlare delle azioni di un mio superiore, mentre il kenjougo esprime umiltà nel parlare delle mie azioni. L’ultima volta però in un esempio ho usato il kenjougo per descrivere un’azione compiuta non da me ma da mio padre.

父はうちにおりません
Chichi wa uchi* ni orimasen.
Mio padre non è a casa*.

Qui entrano in gioco due concetti: uchi e soto.

Uchi 内 vuol dire “dentro”: è la mia cerchia, il gruppo di cui faccio parte. A seconda della situazione il gruppo può cambiare: può essere la mia famiglia, la mia classe, il mio gruppo di lavoro.
Soto 外 vuol dire “fuori” e rappresenta chi sta al di fuori del mio gruppo.

L’uchi non ha una dimensione precisa: può essere un gruppo ristretto come uno allargato, oppure uchi posso anche essere solo io. Ad esempio

  • all’interno della classe, uchi sono io e soto sono gli altri
  • all’interno della scuola, uchi è la mia classe e soto sono le altre classi
  • in un torneo tra più scuole, uchi è la mia mentre soto sono le altre scuole

Tornando all’esempio, immaginate un ragazzo che abita con i suoi genitori: un uomo in giacca e cravatta, ad esempio un collega di lavoro del padre, si presenta alla porta e chiede se è in casa. In questo caso l’uchi, cioè il gruppo interno, è la famiglia, mentre l’esterno (il soto) è chi non fa parte della famiglia. Per questo il figlio può usare il verbo umile per parlare delle azioni di suo papà.

*Nota: uchi scritto nell’esempio vuol dire “casa”, è un sinonimo di 家 ie.
家 è casa più come edificio mentre うち è casa in senso affettivo, un po’ come in inglese la differenza tra house e home. Quando è inteso come “casa”, uchi è in genere scritto in hiragana, mentre uchi come “la mia cerchia” si trova col kanji 内.

Usata molto spesso è l’espressione “uchi no” per dire mio/mia/miei/mie o nostro/nostra/nostri/nostre. Ad esempio

内の子はあのおもちゃが大好き。
Uchi no ko wa ano omocha ga daisuki.
Il mio bambino adora quel giocattolo.

Letteralmente è “il bambino della mia cerchia”. Dal contesto si capisce che il gruppo di cui si parla è la famiglia, per cui si può tradurre come mio figlio o il mio bambino.

Uchi e soto sono due concetti che permeano la società giapponese, sono onnipresenti anche se non esplicitati. Pensate anche solo ai verbi あげる ageru e くれる kureru: entrambi vogliono dire “dare”, ma ageru implica un dare agli altri (soto) mentre kureru è quando danno a me/al mio gruppo (uchi).

Quanto visto finora del keigo si applica quindi non solo a me (kenjougo) e ai miei superiori (sonkeigo), ma si estende al mio gruppo (uchi) e al gruppo dei miei superiori (soto).

A volte è chiaro chi è di un gruppo e chi dell’altro, ad esempio se lavoro nella ristorazione o negli alberghi i miei colleghi sono l’uchi, mentre il cliente è il soto: in questo caso per parlare dell’uchi utilizzo il kenjougo mentre per parlare dei clienti adopererò il sonkeigo. Oppure immaginate di lavorare per un’azienda: l’uchi siete voi assieme ai colleghi del vostro livello mentre il soto è il vostro capo.

A volte invece non è esattamente così chiaro, o perlomeno bisogna un attimo pensarci.
Mi è capitata una volta in cui sono venuti dei clienti giapponesi in visita alla mia azienda: ad accoglierli e a portarli in giro eravamo io e il mio capo. Quando, qualche giorno prima che venissero, mi stavo preparando una piccola presentazione però, mi è venuto un dubbio: il mio capo come lo presento?
Io mi sono presentata usando la frase

…と申します。
… to moushimasu.
Mi chiamo …

utilizzando 申す che è la versione umile di 言う, quindi kenjougo. Per i clienti ho usato il sonkeigo. Fin qui tutto liscio. Ma il mio capo dove sta? Nell’uchi o nel soto?
Tecnicamente fa parte dell’azienda quindi rientrerebbe nell’uchi, ma è comunque un mio superiore per cui usare il kenjougo non mi sembrava corretto. Alla fine, visto che fa parte dell’uchi ma è comunque qualcuno a cui portare rispetto, per presentare il mio capo ho usato il semplice teneigo, dicendo:

この方はXの社長です。Yと言います。
Kono kata wa X no shachou desu. Y to iimasu.
Vi presento il presidente dell’azienda X. Si chiama Y.
(Lett. questa persona è…)

Tutti questi ragionamenti invece vengono naturali ai giapponesi, che li applicano nella vita di tutti i giorni. Potrà non essere evidente, ma c’è sempre un uchi e un soto.

L’uchi è il gruppo in cui in genere ci si può lasciar andare, spesso parlando informalmente, mentre con il soto ci si deve comportare in una certa maniera, presentare la versione migliore di sé stessi parlando formalmente e umilmente.

またね!

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